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La prospettiva sanitaria e sociale della copertura di non-autosufficienza e il ruolo dei fondi sanitari
- Sanità integrativa
- Non autosufficienza
- Ssn
- Fondi sanitari
"Il problema del finanziamento della non autosufficienza non può essere affrontato senza considerare congiuntamente la spesa sanitaria e sociale, soprattutto per le prestazioni che più la caratterizzano e cioè le prestazioni sociosanitarie effettivamente erogate sotto forma di servizi alla persona, e quelle monetarie.
Alle prime appartengono l’assistenza domiciliare integrata e non integrata e la residenzialità, alle seconde l’indennità di accompagnamento ed altri contributi simili.
Le conseguenze dell’invecchiamento demografico in termini di cronicizzazione delle patologie ed aumento dei casi di non autosufficienza e disabilità medio-grave anche in soggetti non necessariamente anziani, impongono una riorganizzazione del sistema dell’offerta assistenziale quali il potenziamento dei servizi del territorio (con particolare riferimento all’assistenza domiciliare integrata e non ed alla residenzialità), l’integrazione tra ospedale e territorio e lo sviluppo di modelli organizzativi innovativi che garantiscano la continuità assistenziale secondo un approccio multidisciplinare.
Dove reperire le risorse per tutto questo, salvaguardando l’universalità dell’ accesso?
Innanzitutto va sottolineato il fatto che sono già disponibili risorse per la non autosufficienza che sono però impiegate nel nostro Paese in modo caotico e senza una strategia precisa. Una revisione della spesa che parta da una definizione condivisa di non autosufficienza sul territorio nazionale unitamente ad una definizione “per pacchetti prestazionali” dei Lea e dei Liveas potrebbe certamente fornire la possibilità di razionalizzare l’esistente, il tutto garantito da un ISEE (alcune regioni in merito hanno già adottato significative iniziative, Emilia Romagna e Lombardia,Toscana), da intendersi quale strumento per un maggiore equità di accesso. Rimane il problema che probabilmente tutto ciò non sarà sufficiente nel futuro, anche nelle più rosee previsioni di spesa, ed un ripensamento dei sistemi di finanziamento per reperire le risorse necessarie a soddisfare una domanda crescente di servizi sanitari e sociosanitari si impone, come sta avvenendo in molti Paesi europei.
È impossibile, allo stato attuale pensare in Italia di ricorrere ad un aumento dei finanziamenti pubblici, sia per quanto riguarda la sanità che per i servizi sociali, per la congiuntura economica e con gli obblighi che derivano al Paese dalla sua appartenenza all’Unione europea, né tantomeno prevedere l’introduzione di una nuova tassa per l’istituzione su base obbligatoria di un fondo per la non autosufficienza come in Germania o nei Paesi Bassi.
Anche il ricorso a maggiori imposizioni su alcune fasce di reddito o maggiorazioni del costo del lavoro sono ad oggi non percorribili.
Le risorse finanziarie per questo settore sono scarse ovunque nel mondo e per questo appare strategica la collaborazione tra settore pubblico e privato, for profit e no profit, per assicurare adeguati finanziamenti.
In Italia emerge dall’analisi dei dati sulla composizione della spesa sanitaria un’alta percentuale di spesa privata (oltre 30 miliardi di euro), valore tra i più alti in Europa, di cui ben l’87,2% è “out-of-pocket”, mentre il 14% circa è veicolato dai fondi sanitari e sociosanitari integrativi (settore in forte crescita) e solo il 3,7% circa dalle assicurazioni. Tali dati sono indicativi della necessità di orientare ed organizzare in senso strutturale questa componente privata della spesa, incentivando e sostenendo nuove fonti di finanziamento, in particolare guardando ai fondi sanitari e sociosanitari integrativi.
In conclusione, in Europa ed anche nel nostro Paese si fa avanti un Welfare delle opportunità e delle responsabilità come principio ispiratore delle politiche sociali e della salute del terzo millennio. La sussidiarietà è un principio “che esalta il valore dei cosiddetti corpi intermedi che si trovano tra il singolo cittadino e lo Stato, afferma il ruolo della mutualità di intenti verso la soddisfazione di diritti e beni comuni, mette in comune risorse umane e materiali, strumenti, operatività per il raggiungimento non solo di tutele, ma di opportunità ai nastri di partenza” (Labate, Sole 24 ore giugno 2012).
La discussione socio-culturale e politica in Europa dimostra che i sistemi di welfare basati sul principio di sussidiarietà reggono meglio le evoluzioni sociali in periodo di crisi. L’esperienza in progress dei paesi europei, ci dice che abbiamo bisogno di portare a termine in maniera fattiva il processo che abbiamo avviato, con i primi tentativi di dare una ossatura all’avvio del secondo pilastro, che il tempo che abbiamo dinanzi non è molto, se vogliamo costruirlo dentro una cornice di regole condivise, tra tutti gli attori istituzionali e i cittadini.
Proprio in vista del federalismo e dello sforzo cruciale di rispetto dei vincoli europei, non possiamo attardarci ancora una volta, su nuove forme di copayment e razionamenti di risorse umane, prestazioni e servizi, magari peggiorando la qualità delle cure. Occorre affrontare il toro per le corna, superare ipocrisie e difese ideologiche di un astratto universalismo, che vede un Paese spaccato in due, sul terreno della salute, discorsi astratti sui costi standard, ancor prima di aver avuto il coraggio di dire quali LEA sono il riferimento attuale e quali LIVEAS individuano i bisogni assistenziali, poiché costituiscono la priorità di un Paese che invecchia: un paese, che non rinunciando alla tutela universalistica della salute e alla sua legge di riforma dell’assistenza, sia capace di chiamare ad una responsabilità collettiva di protezione e socializzazione dei rischi, cittadini, imprese, istituzioni regionali e locali a fare la propria parte, perchè un grande bene collettivo possa essere tutelato con l’apporto responsabile dell’intera comunità, sul terreno della sua sostenibilità, comprese tutte le misure di lotta agli sprechi del sistema.
Appare fondamentale per la non autosufficienza pensare ad un mix di interventi e soluzioni che coinvolgano tanto schemi pubblici quanto schemi privati, individuando strumenti finalizzati alla tutela contro il rischio di non autosufficienza, che consentano di canalizzare risorse pubbliche e private e di trasferirne i vantaggi nel tempo favorendo la responsabilizzazione individuale, sostenendo fiscalmente i contratti volontari individuali, ma soprattutto devono essere ricercati strumenti che sostengano la dimensione collettiva, prevedendo, per esempio, polizze di gruppo che consentano la “socializzazione dei rischi” e la riduzione dei problemi di selezione sfavorevole per le compagnie assicurative con conseguenti costi minori per gli assicurati.
La dimensione collettiva può essere organizzata sia su base "categoriale" che su base "territoriale", per esempio regionale, anche in considerazione della forte tendenza federalista in ambito sanitario e assistenziale.
I fondi sanitari e sociosanitari possono avere un ruolo determinante ma devono essere supportati da una serie di azioni ed interventi che, anche utilizzando la leva fiscale, possano proiettarli alla copertura delle situazioni di bisogno sociale, guardando il sistema nel lungo periodo sotto la lette della “innovazione” e della “generazioni di valore sociale” in senso ampio. I giusti incentivi potrebbero accelerare lo sviluppo dei fondi sanitari e candidarli ad un ruolo di sussidiarietà tale da arrecare non solo vantaggi in chiave meramente sanitaria ma apportando valori innovativi nel senso della stabilizzazione economica e sociale del paese e dei territori, della crescita di nuovi posti di lavoro, nell’efficace integrazione del mercato con l’area del no-profit”.
Isabella Mastrobuono
Docente di organizzazione sanitaria presso la Luiss Business School di Roma. Esperto presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari e Direttore sanitario di Nuova Villa Claudia (Roma). Già Direttore generale della Asl di Frosinone, già Direttore Sanitario Aziendale della Fondazione Policlinico Tor Vergata. Già Assistente chirurgo e ricercatore presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Numerosi gli incarichi istituzionali e di ricerca.