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Pubblico e privato: le Casse di previdenza tra caos normativo e riforme
- Welfare liberi professionisti
- Casse di previdenza
Il disegno di legge promosso dalla Commissione bicamerale di controllo sugli enti di previdenza, così come altre norme che trovano di volta in volta applicazione alle Casse dei liberi professionisti, ha riacceso il dibattitto sulla natura pubblica o privata degli enti previdenziali. E’ ormai evidente come le definizioni di “pubblico” e di “privato” siano cambiate negli anni e soprattutto si siano arricchite di significati dal 1994, anno della “privatizzazione”, grazie alla forte influenza dell’ordinamento comunitario.
Guardando a ciò che è accaduto nell’ultimo decennio, possiamo dire che anche le Casse di previdenza sono state interessate da quel processo di “ripubblicizzazione” che negli ultimi anni ha riguardato tutti i soggetti che hanno avuto un forte grado di autonomia e ai quali il legislatore ha delegato delle funzioni o attività pubbliche a partire dagli anni ’90.
Un percorso inverso rispetto a quello promosso dal legislatore oltre un quarto di secolo fa, attraverso percorsi di privatizzazione o con deleghe di funzioni a soggetti privati in attuazione del principio di sussidiarietà, richiamato più volte dalla governance comunitaria. Un percorso di revirement dettato dalla “sfiducia” nei confronti dell’utilizzo della flessibilità da parte dei soggetti privati in vario modo delegati.
Questo percorso di “pentimento”, che ha riguardato società partecipate, fondi interprofessionali e le stesse ppaa rispetto ai gradi di autonomia concessi negli anni ’90 (es. contrattazione collettiva, lavoro flessibile, autonomia di bilancio), ha portato ad introdurre una serie di controlli formali riportando le lancette a prima degli anni ’90, trascurando parametri economici o di performance. Per cui i soggetti “ripubblicizzati” si sono trovati investiti da una serie di vincoli e dall’estensione delle norme sulla PA che hanno prodotto più adempimenti burocratici che il miglioramento del sistema.
In questo percorso si collocano le casse di previdenza, che però negli anni hanno dimostrato attraverso il proprio comportamento di aver meritato l’autonomia, sia in termini di performance sia di assolvimento dei compiti istituzionali assegnati dal legislatore (e ampliati dagli stessi enti).
La sostenibilità previdenziale è stata dimostrata con bilanci attuariali a 30 e 50 anni e con avanzi crescenti, grazie a riforme e buona gestione; un rendimento medio elevato degli investimenti, pur in assenza di controlli, è stato assicurato negli anni da tutte le Casse di previdenza; le competenze delle Casse sono aumentate, sia ampliando gli interventi di welfare sia declinando la funzione istituzionale in chiave moderna e multipilastro.
Possiamo dire pertanto, nel fare un bilancio dopo 23 anni di privatizzazione, che la flessibilità e l’autonomia riconosciuta in attuazione della legge 537/1993 è stata ben riposta. D’altronde il legislatore nazionale del d.lgs. 509/1994 si era comunque protetto, prevedendo esplicitamente che nessun finanziamento pubblico potesse finire alle casse di previdenza e che, in caso di disavanzo strutturale, si sarebbero applicate le vigenti norme sulla liquidazione coatta.
La pluripubblicità
In generale, la perdita di importanza della natura della personalità giuridica in favore della funzione e delle attività ha fatto emergere il profilo sostanzialista della caratteristica pubblica. Ciò è avvenuto, ad esempio, sia in materia di accesso agli atti (cfr. art. 22 della legge 241/1990), sia in materia di tutela della concorrenza e acquisto di beni e servizi, per evitare l’abuso di una posizione speciale assicurata a qualunque titolo dal legislatore.
Tale fenomeno come si diceva ha riguardato anche le Casse di previdenza con una significativa crescita degli obblighi e dei vincoli.
Occorre dire pertanto che i maggiori oneri e adempimenti, paradossalmente, non sono emersi per il profilo pubblicistico derivante dalla funzione previdenziale, ma per una serie di profili che potremmo definire secondari, come appartenere all’elenco Istat (cfr. L. 196/2009) oppure essere organismo di diritto pubblico.
La normativa comunitaria ha introdotto alcune definizioni di “pubblico” che sono state eccessivamente enfatizzate, per non dire strumentalizzate, dal legislatore italiano e poi dagli apparati amministrativi di controllo, tra le quali: l’organismo di diritto pubblico e la PA di carattere finanziario. La prima definizione ci deriva dalla normativa comunitaria in materia di tutela della concorrenza e disciplina dei contratti pubblici. La seconda definizione secondo l’attuale regolamento SEC 2010 (Regolamento (Ue) del Parlamento europeo e del Consiglio, n. 549/2013) è volta a definire un operatore come pubblico dal punto di vista finanziario, in base alla natura delle entrate e al comportamento economico.
A queste definizioni occorre aggiungere quelle contenute in altre disposizioni come nel Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005) oppure nella normativa in materia di trasparenza (d.lgs. 33/2013), che fanno riferimento per l’ambito di applicazione a soggetti che “esercitano funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici.”, prescindendo dalla natura della personalità giuridica.
Come sempre è accaduto nella storia dei controlli amministrativi italiani, ad un certo punto si è innescata una gara tra istituzioni, che ha prodotto un incremento dei controlli formali che ha fatto perdere di vista i rischi reali, realizzando ancora una volta un sistema che alla fine “blocca i moscerini e fa passare gli avvoltoi”.
Le contraddizioni del legislatore
Anche grazie ad una pluripubblicità acquisita per la stratificazione di interventi successivi nel tempo e ad una scarsa attenzione dei ministeri vigilanti, il quadro ordinamentale si è rivelato caotico e colmo di contraddizioni.
Analizzando alcuni profili emerge come il legislatore impone e giustifica molti obblighi in considerazione della funzione di previdenza obbligatoria di primo pilastro, ma non disciplina coerentemente per le funzioni più rilevanti tali enti come enti di primo pilastro.
Un raffronto con la normativa prevista per gli enti di previdenza di secondo pilastro può far comprendere meglio tale paradosso.
Investimenti: in tale materia le Casse di previdenza hanno oggi vincoli minori rispetto agli enti di secondo pilastro. Mentre si attende il DM da adottare ai sensi dell’art. 14 del DL 98/2011 per le Casse, gli enti di previdenza complementare hanno da alcuni anni norme di dettaglio come il DM 166/2014.
Tassazione: sulla tassazione si evidenzia la maggiore contraddizione, mentre i fondi di secondo pilastro sono sempre stati tassati in maniera agevolata, oggi al 20%, le Casse di previdenza hanno sempre avuto una tassazione superiore, che vede una riduzione solo per investimenti “qualificati”.
Bail in: la normativa che esclude dalla procedura di “bail in” i risparmi previdenziali mette oggi in salvaguardia i fondi di previdenza complementare, ma non le Casse di previdenza.
Requisiti di competenza degli organi: la normativa vigente non prevede per le Casse di previdenza requisiti professionali particolari, rinviando agli statuti. Mentre per i fondi di previdenza complementari vi è una normativa eteronoma di maggior dettaglio.
Previdenza: in tale materia intervengono le delibere e i regolamenti delle Casse di previdenza, sottoposti all’approvazione dei ministeri vigilanti, accompagnati da bilanci tecnici attuariali. Tali norme sono integrate da leggi statali, a volte restringendo i requisiti altre volte ampliandoli (v. normativa cumulo), noncuranti degli specifici equilibri demografici, professionali e attuariali. Per i fondi pensione di secondo pilastro vi sono i vincoli contenuti nel d.lgs. 252/2005.
Se si guarda infine al numero dei vigilanti, le Casse di previdenza sono sottoposti a numerose vigilanze (Ministero del lavoro, Ministero dell’Economia, Covip, Anac, Corte dei Conti, Dipartimento della funzione pubblica, Commissione bicamerale di controllo), mentre gli enti di previdenza di secondo pilastro alla sola Covip.
A conferma che più vigilanti non producono maggiore garanzia, ma solo maggiori adempimenti.
Una via di uscita
E’ possibile individuare una via di uscita, anche in base a quanto più volte dichiarato dalla Corte costituzionale, nello spirito del d.lgs. 509/1994, cioè in un modello di autonomia responsabile fondato su una governance e su norme che consentono di coniugare flessibilità e responsabilità.
Appare evidente, alla luce degli andamenti dell’economia e dei settori di riferimento, come le Casse di previdenza non possano rispondere in maniera rigida ed eterodiretta ai continui cambiamenti, economici e demografici, delle platee professionali e dei mercati finanziari. L’attuale contesto storico richiede flessibilità ed enti orientati agli obiettivi e non alle procedure, altrimenti non si giustificherebbe il modello privato scelto dal legislatore nel 1994.
La funzione previdenziale delle Casse potrebbe essere ben svolta solo se declinata in maniera integrata. L’attenzione sostanziale e non formale alla sostenibilità previdenziale ha consentito, secondo gli indirizzi contenuti nel Libro bianco sulle pensioni in EUROPA (An agenda for adequate, safe and sustainable Pensions), a soggetti privati come le Casse di previdenza dei liberi professionisti di realizzare delle esperienze avanzate di welfare integrato, valorizzando la tradizione storica italiana dei corpi intermedi in una visione sussidiaria quanto mai moderna ed efficace.
E’ importante quindi oggi consentire alle Casse di previdenza di rafforzare quello che già viene erogato in termini di sanità integrativa, assistenza e welfare per il lavoro, eliminando i vincoli amministrativi che negli anni sono stati apposti secondo una vecchia logica statica e per compartimenti stagni del welfare. Le Casse hanno risorse per proteggere di più e meglio i propri iscritti, soprattutto i più giovani, rafforzando in tal modo anche la capacità e continuità reddituale, che sono i due fattori che garantiscono la sostenibilità e adeguatezza previdenziale. La migliore protezione che oggi è necessario assicurare ai liberi professionisti, e non solo, è quella di aiutarli a lavorare di più e a lavorare più a lungo. Work more and work longer d’altronde è l’unica ricetta per la sostenibilità e adeguatezza delle prestazioni previdenziali. L’art. 6 della legge 81/2017 (cd. Jobs act per il lavoro autonomo) prevede una delega per ampliare le prestazioni delle Casse di previdenza, ma essa paradossalmente potrebbe addirittura bloccare le prestazioni che già molte Casse erogano nell’ambito della propria autonomia e delle proprie risorse.
Si tratta quindi di ritornare allo spirito delle privatizzazioni degli anni ’90, per consentire ad istituzioni che hanno ben utilizzato la propria autonomia di operare in maniera più efficiente ed efficace nei confronti delle proprie platee.
Per questo occorre riportare l’intervento pubblico sul settore in un alveo più corretto e ridisegnare l’attuale funzione di vigilanza secondo principi moderni di gestione amministrativa, affinché sia più attenta ai risultati conseguiti che alle procedure. Per questo occorre una PA che, nei confronti dei tanti soggetti delegati che intervengono sempre più in settori di interesse pubblico, sia capace di misurare e valutare l’efficacia degli interventi, la performance di breve e di lungo periodo e non banalmente il rispetto della forma.
Francesco Verbaro
Esperto in organizzazione della Pubblica Amministrazione e docente in materia di diritto del lavoro, organizzazione, personale e welfare. Nel 2001 è stato vicecapo di Gabinetto del Ministro per la Funzione pubblica. Dal 2002 ha ricoperto il ruolo di Direttore generale dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Già Consigliere giuridico del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha ricoperto il ruolo di Segretario Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dal luglio 2008 al 31 dicembre 2010. Attualmente ricopre l’incarico di Presidente di Formatemp - Ente bilaterale della formazione lavoratori somministrati, Responsabile scientifico dell'Ente nazionale per il Microcredito e di General advisor per l'Associazione delle Casse di Previdenza professionisti italiani (Adepp). Collabora con il Sole 24 Ore e riviste in materia di pubblico impiego; è autore di numerose pubblicazioni in materia di Lavoro pubblico e Diritto del Lavoro.