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Selezione inversa: la grande onda delle nuove professioni. L’etica dei dati contro l’appiattimento delle competenze
- Welfare liberi professionisti
- Casse di previdenza
Invertire il paradigma è la priorità. Le analisi dell’Accademia e delle associazioni di settore prevedono la perdita del lavoro a causa della tecnologia, della mutazione della legislazione, delle evoluzioni europee delle competenze e delle attribuzioni di singola professione. Il paradigma dovrebbe essere contrario: sono io che governo la tecnologia, sono io che la prevedo, sono io che la sfrutto in modo interdisciplinare, sono io che aggrego nuove professionalità di diversa natura e mi preparo ad offrire sul mercato il mio prodotto, ovvero la mia competenza, ad un prezzo e un’efficacia incontestabili.
A corredo di un fenomeno che viaggia veloce, il processo in corso in sede europea che riguarda “le” professioni, non le professioni cosiddette ordinistiche, ormai residuali in Italia, Francia, Germania, Spagna e Portogallo, ma quelle regolamentate e non regolamentate. In molti Paesi la classificazione della singola professione non coincide con quella italiana.
A questo disallineamento si sommano tematiche di natura fiscale (pensiamo alle aliquote iva diverse in molti Paesi), di costi di manodopera, di andamento del Pil, di progressione del singolo Paese. L’incrocio degli elementi ci porta in un territorio aperto e sempre più transnazionale. Sarà impossibile, in tendenza, esercitare una professione, pur tutelata ordinisticamente, non vedendo un avanzamento dell’Europa che ci porterà in casa, in modo diretto o indiretto, professionalità simili. È il caso degli odontoiatri, delle grandi catene spagnole, che arrivano in Italia a prezzi scontati, con qualità da verificare, e che assumono giovani laureati a costi bassi, sfruttando l’economia di scala dei grandi numeri.
In questa situazione, se si vuole ancora credere nell’assunto che lega la qualità della prestazione al cliente, in termini di fiducia, affidabilità, continuità del rapporto e anche capacità di consiglio e di orientamento in un mercato sempre più complesso e regolamentato, il sistema si deve evolvere, anche attraverso i temi della previdenza e del welfare. La previdenza transnazionale, i nuovi Pepp, ma anche le nuove e diverse forme di welfare che sorgeranno, creano una competizione che può andare oltre il mercato unico europeo.
È il caso di Israele, dove l’ecosistema delle start-up, fortemente sovvenzionato a fondo perduto dallo Stato, permette l’acquisto di piattaforme competitive, a costi concorrenziali, oltre alla generazione di un continuo ricambio di idee con oltre 500 nuove strart-up l’anno. Si tratta di una scommessa sui giovani con cartelloni pubblicitari nelle vie di Tel Aviv che proclamano: “fallire non è vergogna”.
Tutti questi fattori impongono una visione a lungo termine che tenga conto anche della crescente difficoltà di tracciare le prestazioni in termini fiscali e previdenziali. Fatto 100 lo sforzo di welfare, 80 deve stare nel percorso professionale, 50 deve stare nel primo tratto di questo percorso. La spinta iniziale che può essere data al giovane, resta e si riverbera. Senza questo accompagnamento, l’accesso al mercato, il reperimento di fondi, l’assestamento per poi reggere la marea dei continui cambiamenti, diventano molto difficili, fino a minacciare la stessa sopravvivenza. Prova ne sia che i dati ufficiali sulle professioni, tracciano la linea dei 40 anni come quella della piena autosufficienza, sotto questa linea il reddito medio è di mille euro mensili netti, al massimo (fonte: Rapporto Adepp). Questo significa che il gap che si crea rispetto ad un quarantenne che nel Regno Unito si trova all’apice dell’accumulo di professionalità, esperienza e titoli, rischia di divenire incolmabile. Se gli strumenti classici di supporto al reddito appaiono inevitabili, sul piano del sistema politico emerge netta la mancanza di una visione ampia.
Cosa si può fare?
1 – Serve un ecosistema integrato, diffuso e ramificato che metta in connessione le professioni con la piccola e media impresa, talmente numerosa da rappresentare sostanzialmente il Paese. Accordi di sistema con sindacati, Confindustria, altre associazioni intermedie che permettano di raggruppare, ordinare e moltiplicare i servizi resi.
2 – Stimolare culturalmente e fiscalmente gli studi interdisciplinari, affiancarli con supporti tecnologici che siano all’altezza di ciò che ci attraverserà nei prossimi 20 anni. Sicuramente l’Italia non è all’anno zero, ma scandagliando le start up di successo, poco o nulla si trova direttamente connesso alla promozione dei lavori e delle professioni.
3 – Creare delle piattaforme tecnologiche integrate, pubblicamente finanziate, che permettano a centinaia di migliaia di soggetti di interagire e offrire il loro lavoro alla cittadinanza. Non legittimi business mirati da parte di grandi gruppi, ma contesti open source da popolare volontariamente.
4 – Creare una economia circolare delle professioni. Si chiude il cerchio delle necessità del singolo (fiscali, patrimoniali, immobiliari, formative solo per citarne alcune) attraverso una offerta ampia che coinvolge soggetti di derivazione diversa.
5 – Porre gli studenti, universitari e non, nelle condizioni di utilizzare una tecnologia su misura, a volte autoprodotta, fuori dal circuito dei Big Data, attraverso una spinta dal basso che inverta i fattori, spesso di sfruttamento, in essere. Le eccellenze accademiche sono un punto di partenza.
E se gran parte delle previsioni che prevedono una enorme moria di “lavori” (fino al 70/80 per cento degli esistenti) nel prossimo ventennio fosse troppo legata all’effetto stravolgente dell’avanzamento tecnologico? Se si trattasse più di uno “slittamento” di professionalità, di contaminazione, ma non di distruzione del “nocciolo” del saper fare. In altri termini la tecnologia non risponde ad esigenze di servizio, viene progettata per creare o rispondere a domande che si ritengono maggioritarie o maggiormente remunerative.
L’algoritmo non è un essere vivente, lavora in base a ciò che tu gli dici di fare, quasi sempre in relazione al condizionamento del mercato. Perché la grande raccolta a strascico di dati non può essere contrastata con una selezione precisa, profonda, certificata e intellettualmente onesta di ciò che il soggetto/cliente desidera? Questo può essere fatto solo da un professionista, premiato da trasparenza e competenza.
Andrea Camporese
Laureato in filosofia, già presidente Inpgi, dell’Associazione degli Enti Professionali privati e Privatizzati (Adepp) e della Associazione europea degli Enti Previdenziali dei Professionisti. Giornalista professionista Rai per oltre 20 anni, svolge attività di ricerca nel settore del welfare, della previdenza e della tecnologia applicata. Dal 2017 ha collaborato con grandi operatori privati nel delineare progetti sull’economia reale ad impatto sociale.