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Riflessioni sull’assetto istituzionale delle forme di sanità integrativa
- Sanità integrativa
- Fondi sanitari
Posto che la sanità integrativa fa parte del secondo livello di Welfare, occorre dare alla materia una congrua collocazione. A tal fine si deve prendere atto che, allo stato della scarna disciplina in materia e tenendo conto della articolazione delle competenze legislative nell’attuale art. 117 Cost, il Welfare di secondo livello è solo per una parte – seppur molto rilevante e prescindendo da ogni valutazione circa la congruità dei risultati conseguiti - sistematizzato, posto che di vero e proprio sistema può, anzi deve, parlarsi, oramai da oltre venti anni, solo quanto alla previdenza pensionistica complementare, ancorché si annuncino ulteriori riforme. Altra parte, anche essa consistente, è solo tipizzata, con spunti incompiuti di sistematizzazione: è il caso della materia che ci occupa, quello appunto della sanità integrativa. Sta infine emergendo un ruolo particolare degli enti bilaterali per la formazione, per il supporto alla regolazione pubblica del mercato del lavoro e per il sostegno del reddito, aree tutte caratterizzate da un intreccio fra azione pubblica ed azione privata sociale . Per il resto il secondo welfare è sostanzialmente libero da prescrizioni, salvo valutare quale sia il regime tributario applicabile, con l’avvertenza che la previsione di un regime tributario specifico (o anche, paradossalmente, l’assenza di esso) non basta a fondare neppure un principio di regolazione di sistema.
Sempre ai fini della impostazione del problema, una variabile significativa è offerta dall’ampiezza del circuito in cui è destinata a realizzarsi la sanità integrativa, potendo essa – secondo una logica di insiemi a cerchi concentrici – riferirsi volta a volta alla generalità dei cittadini/residenti, ovvero a tutti i lavoratori senza particolari qualificazioni, o infine solo ai dipendenti ed assimilati: ognuno degli insiemi implicando problemi e soluzioni diverse.
L'ASSETTO ISTITUZIONALE
Da queste schematiche indicazioni possono muovere le riflessioni sulle soluzioni da dare ad un ragionevole assetto istituzionale della sanità integrativa, il cui obiettivo ha quale nucleo essenziale la salute, bene primario della persona, e proprio per questo evocante una condizione di bisogno che sfuma nel rischio, appunto, sanitario: del che non occorre dimostrazione, bastando qui solo ricordare la sacralità dell’affermazione presente nell’art. 32 Cost., cc. 1 e 2, cui fa riscontro la previsione della legge 146/90 e ss. mm., che, nel fissare la graduatoria dei diritti capaci di contenere il diritto di sciopero, colloca sintomaticamente nei primi posti proprio il diritto alla salute. E d’altra parte la sua realizzazione implica il ricorso agli strumenti previsti dall’art. 38 Cost., sia il secondo comma, sia il quinto, con una incognita che proviene dalla progettata riforma del titolo v della costituzione (A.S. n. 1429, art. 26, commi 2 e 3), laddove si trasferisce alla competenza esclusiva dello Stato (nuovo art. 117, c. 2, lett. o) anche la competenza in materia di previdenza complementare e integrativa, restando (nuovo art. 117, c. 3) alla legislazione regionale “l'organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, dei servizi sociali e sanitari”, così delineandosi possibili conflitti di attribuzione.
LE PECULIARITA' DEL FENOMENO
Fondamento di ogni possibile intervento in materia di salute, nella combinazione fra il diritto individuale e l’interesse della collettività, è la salvaguardia della libertà, che costituisce oltre tutto ad oggi l’humus in cui si sviluppa il Welfare di secondo livello. La, più o meno accentuata, dimensione sociale delle forme di Welfare colora questa libertà, rendendola compatibile con incentivi di varia natura (fiscale, contrattuale, efficienza funzionale e razionalizzazione degli interventi prestazionali, economie di massa e costi contenuti), volti ad adeguare l’ottimale soddisfazione del bisogno. Si tratta di vantaggi che giustificano, e compensano, la pur contenuta attenuazione del criterio di libertà, consumata attraverso la predisposizione di apparati organizzativi relativamente complessi e comunque suscettibili di vigilanza. Si delinea così una significativa assimilazione con il ricordato assetto del welfare pensionistico di secondo livello, dovendosi tuttavia evitare ogni confusione o addirittura immedesimazione fra i due mondi. Pur in presenza di coincidenti ambiti soggettivi e di omogenei modelli contrattuali utilizzabili - da scelta bilaterale sindacale ovvero da offerta del mercato -, troppo difforme è la qualità del bisogno, la cui diversità, materiale oltre che concettuale è destinata a riflettersi in termini di diversità dei criteri gestionali: si pensi solo alla circostanza che la gestione finanziaria della sanità si fonda sulla ripartizione da immediatezza del consumo, indotta dalla distribuzione del rischio nella logica mutualistico-assicurativa, diversamente da quanto ormai disposto in materia pensionistica, governata dal regime di capitalizzazione individuale per montanti secondo programmi a formazione successiva di medio/lungo periodo. Nell’affermazione che precede sta il nucleo dell’attuale dibattito sull’assetto istituzionale delle forme di assistenza sanitaria integrativa: la possibile, ma non necessaria, riconduzione ad unità istituzionale delle forme pensionistiche di 2° livello e della sanità integrativa- diffusa prima dell’intervento del d. lgs n. 124/93, e rinnovata dalla l. 243/04 nell’ambito degli enti di previdenza privati alla gestione di forme sanitarie integrative – deve rispettare il canone fondamentale della separatezza gestionale, sia sotto il profilo della separatezza di bilancio, sia e soprattutto sotto il profilo della separatezza patrimoniale.
I PROFILI DI VIGILANZA
È scontata la necessità di una indistinta vigilanza tecnico-professionale sullo svolgimento dell’attività sanitaria, sia essa oggetto di prestazione pubblica, o di prestazione privata in forma mutualistica, o infine di prestazione individuale. La peculiare valenza sociale del bisogno sanitario, laddove esso sia soddisfatto con modalità mutualistico assicurative, in combinazione con i rilevati vantaggi che l’ordinamento può assicurare, propone con forza l’adozione di strumenti di vigilanza che – seppure comuni con quelli operanti nel sistema pensionistico complementare quanto alla governance ed alle rendicontazioni - devono seriamente differenziarsene quanto alle modalità di realizzazione in termini sostanziali, con evidenti riflessi anche sulla diversa professionalità degli amministratori. Ne consegue che, nell’ipotesi di un accentramento nell’attuale autorità di vigilanza sui fondi pensione, dovrebbe comunque realizzarsi una linea di separatezza funzionale nella vigilanza da esercitare, mediante la istituzione di un apparato tecnicamente idoneo sul piano sanitario, con il rischio di un fastidioso raddoppio della vigilanza tecnica rispetto a quella ministeriale: occorre dunque approfondire bene questo delicato momento di raccordo, proprio per evitare stravolgimenti, confusioni di competenze e sovrapposizioni.
I MODELLI GESTIONALI E LA GOVERNANCE
I modelli contrattuali per la realizzazione dell’obiettivo del secondo livello sanitario sono, come è ben noto, variegati e molteplici: dalle polizze sanitarie, agli enti mutualistici di risalente fondazione, alle casse sanitarie, aziendali e di categoria, agli enti bilaterali e loro consorzi. In essi si fondono, con diversità di approccio e di tecniche giuridiche, le categorie della solidarietà, della mutualità e del mercato. Dunque, un concorso di strumenti, cui inevitabilmente si accompagna una linea di concorrenza, trasparente quanto consapevole, capace di assorbire adeguate politiche di incentivi (specialmente fiscali, che peraltro richiedono una trattazione specifica) verso l’uno o l’altro modello, e nella quale deve inserirsi ragionevolmente una formula di trasferibilità, così da fare i conti – almeno per l’area del lavoro subordinato come anche, eventualmente, per quello parasubordinato - con i vincoli di destinazione del contributo del datore di lavoro/committente.
In tutti i casi, si impone l’esigenza di una “governance” qualificata e vigilata perché non vi siano deviazioni funzionali, sia nella gestione, prioritaria, di contenuto prettamente sanitario, sia - secondariamente e nonostante la dominante tecnica ripartitoria – nella gestione del risparmio temporaneo, eventualmente indotto dalla contribuzione.
LE PRESTAZIONI SANITARIE INTEGRATIVE
L’assetto istituzionale è certamente influenzato anche dalla casistica prestazionale, potendo diversificarsi gli strumenti utilizzabili a seconda che si punti alla copertura dei grandi eventi, o degli eventi di frequenza, o della prevenzione (da assumere non solo nella logica assicurativa, di filtro per la erogazione delle prestazioni terapeutiche, ma anche, e soprattutto, come metodo di implementazione del grado di soddisfazione del bisogno sanitario), ed infine delle LTC, in ordine alle quali si delinea oramai con generale convinzione una possibile politica di convergenza con le forme pensionistiche complementari. Quest’ultima considerazione evoca l’avvertimento che ci proponeva a suo tempo Mario Alberto Coppini, quando sottolineava gli effetti della convergenza delle politiche pensionistiche e di quelle sanitarie, destinate ad influenzarsi l’una l’altra, fra i quali non ultimo quello della implementazione degli oneri del Welfare, in larga parte compensato dalle scelte di razionalizzazione cui deve ispirarsi ogni scelta sia di primo, sia di secondo livello del Welfare.
A completamento delle linee essenziali da tener presenti per l’adozione di corrette scelte istituzionali, è doveroso richiamare quelli che possono essere considerati principi esterni, come tali comunque condizionanti e non modulabili: dunque, da non confondere con i criteri intrinseci.
Dominante è il principio di parità di trattamento, che, secondo la consueta applicazione di tale principio, dovrà essere inteso sempre in senso relativo, consentendo dunque – in ragione della onerosità dell’assistenza di che trattasi - una modulazione dei premi correlata alla misura del rischio, sia pure valutato per grandi classi: ad esso deve corrispondere l’adozione di regole trasparenti, capaci di consentire agevole accesso alle prestazioni, e di per sé idonee, oltre tutto, ad evitare situazioni di conflitto di interessi ed abusi funzionali. Non un grande elenco, ma essenziale, dal cui rispetto deriverà – al di là della corretta impostazione tecnico sanitaria ed economica di ciascuna forma– il grado di affidabilità del sistema.
NOTE
1 Cfr. Indagine sulla bilateralità in Italia, e in Francia, Germania, Spagna, Svezia, a cura di Pasquale Sandulli, Michele Faioli, Paola Bozzao, Maria Teresa Bianche, Giuseppe Croce, Quaderni Fondazione Brodolini, n, 52, dic. 2015.
2 Non va tuttavia sottovalutata la circostanza che proprio l’imminente manovra fiscale presente nel ddl stabilità 2016 (art. 12, ddl governativo as 2111, salva diversa sistemazione alla Camera) propone, con riferimento al regime fiscale dei premi di produttività intrecciato con un rinnovato regime fiscale dei benefits aziendali, una formula ulteriormente premiale fondata sull’idea del coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Si tratta di una formula che apre la strada ad importanti innovazioni nel sistema di relazioni industriali.
3 Al riguardo, tuttavia, non può non rilevarsi che l’assetto istituzionale normalmente praticato in forma di associazione semplice risulta inadeguato alle dimensioni economiche del fenomeno; è la ragione che ha portato alla imposizione del modello di personificazione giuridica delle associazioni Fondi pensione.
4 Nella nuova configurazione giuridica di questa fattispecie, quale risultante dal d. lgs n. 81/15, artt. 2 e 52,53,54.
Pasquale Sandulli
Pasquale Sandulli è attualmente Professore di Diritto del Lavoro nell’Univ. Europea di Roma, Previdenza complementare e Giustizia costituzionale del lavoro nella Luiss-Roma.
Tra i numerosi incarichi istituzionali, ha rivestito la carica di Esperto presso il Ministero del lavoro; componente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale e membro del collegio di conciliazione ed arbitrato dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica
É collaboratore scientifico di Mefop dal 2005 e attualmente fa parte del comitato direttivo della "Riv. Dir. Sic. Sociale”.