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Il nuovo concordato fiscale e l’effetto sul reddito imponibile ai fini contributivi dei liberi professionisti

Paolo Giuliani
06 maggio 2024
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  • Casse di previdenza

Il decreto legislativo n. 13/2024 “Disposizioni in materia di accertamento tributario e di concordato preventivo biennale” ha introdotto il concordato preventivo fiscale biennale che consentirà - a determinate condizioni - al contribuente, anche in regime forfettario, di accettare la proposta del Fisco in merito all’ammontare biennale del reddito derivante dall’esercizio dell’impresa o della professione. Il reddito concordato sarà rilevante al fine della determinazione dell’imposta sui redditi e dell’Irap ma non ai fini dell’Iva. La finalità della normativa è indicata al comma 1 dell’art. 6 del decreto: razionalizzare gli obblighi dichiarativi e favorire l'adempimento spontaneo. Oggetto di particolare attenzione è il potenziale coinvolgimento degli enti di previdenza dei professionisti e l’eventualità che i maggiori redditi prodotti possano sfuggire al prelievo contributivo.

Concordato fiscale e casse di previdenza

Per il sistema italiano il concordato fiscale preventivo non è una novità. Fu introdotto, in via sperimentale, dal d.l. 269/2003 (convertito in l. 326/2003) per il biennio 2003/2004. Le procedure erano diverse, riguardava anche l’Iva, il meccanismo di determinazione del reddito di impresa e di lavoro autonomo era differente. L’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 33 del decreto prevedeva espressamente che sul reddito eccedente quello minimo concordato non fossero dovuti i contributi previdenziali; nel caso in cui il contribuente avesse voluto versare comunque i contributi questi sarebbero stati commisurati sulla parte eccedente il minimo reddituale.

La Corte di cassazione (Cass. n. 3916/2019 e Cass. n. 29639/2022) ha delimitato l’ambito di applicazione della normativa fiscale diretta alla determinazione del reddito concordato tra erario e professionista; secondo la Corte, oggetto di negoziazione può essere esclusivamente l’obbligazione tributaria e non il rapporto con la cassa di previdenza in quanto nessuna deroga è stata introdotta rispetto al principio del reddito effettivo che deve essere la base imponibile per il prelievo contributivo.

In particolare, la Corte, nella sentenza n. 3916/2019, riconosce le ragioni degli enti di previdenza dei professionisti e mette in luce l’inapplicabilità dei principi del concordato fiscale richiamando l’art. 4, comma 6 bis, del d.l. 79/1997 (convertito in l. 140/1997) secondo il quale gli enti privatizzati hanno competenza esclusiva in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive essendo la norma espressione di una autonomia funzionale ad assicurare l’equilibrio finanziario della gestione delle casse.

L’equilibrio economico finanziario per le casse rappresenta un principio fondamentale della gestione per cui la determinazione del reddito imponibile concordato tra contribuente libero professionista ed erario se producesse anche effetti previdenziali rappresenterebbe una violazione dell’autonomia degli enti che è garantita dalla normativa speciale.

Il richiamo alle prerogative degli enti dirette a preservare l’autosufficienza del sistema previdenziale è contenuto, peraltro, nella sentenza della Corte costituzionale n. 7/2017. Anche se meno diffusamente, le stesse argomentazioni vengono sostenute dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 29639/2022. In entrambe viene richiamato un dato testuale: al comma 3, lett. a del d.l. 269/2003 si prevede espressamente che l’osservanza degli obblighi fiscali, intrinseca all’adesione al concordato, comporta la determinazione agevolata delle imposte sul reddito e in talune ipotesi dei contributi, ma secondo la Corte in queste ipotesi non rientrano, per le ragioni sopra dettagliate, le casse di previdenza rispetto alle quali è dunque inefficace la previsione, già citata, contenuta al comma 7 dell’art. 33 del medesimo decreto - legge.

Si può ritenere che il nuovo provvedimento, che fa comunque salvi gli ordinari obblighi contabili e dichiarativi a carico del contribuente, non possa alterare il contesto normativo che riguarda l’autonomia delle casse, anche alla luce dell’orientamento consolidato della giurisprudenza sia costituzionale che di legittimità, sebbene gli artt. 19 e 30 del decreto n. 13/2024 contengano una disposizione analoga a quella della normativa precedente in materia di irrilevanza degli eventuali maggiori o minori redditi effettivi ai fini degli obblighi contributivi. Non è pensabile che l’equilibrio della gestione risulti sostanzialmente eterodiretto e influenzato da logiche estranee ed attinenti ad un altro ambito qual è quello fiscale. Certamente un intervento chiarificatore, eventualmente di rango normativo, potrebbe servire a prevenire il prevedibile contenzioso.

 

Paolo Giuliani

Dirigente del servizio contributi e prestazioni dell’Ente di previdenza dei Farmacisti, lavora nell'ambito della previdenza privata obbligatoria da oltre venti anni. Pubblica sulle riviste edite da Mefop analisi giurisprudenziali e normative su argomenti di previdenza obbligatoria pubblica e privata. Ha collaborato per un triennio con l'Università delle Marche, presso la Facoltà di economia e commercio, nell'ambito dell'insegnamento del Diritto del lavoro. È un educatore finanziario iscritto all’Associazione Italiana degli Educatori Finanziari ed ha svolto il ruolo di docente in diversi corsi di formazione anche sul sistema degli Enti di previdenza privati. È stato docente accreditato per i corsi ECM dei farmacisti con riferimento alla regolamentazione della previdenza di categoria.