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Passaggio dal regime di esclusione a quello di esenzione IVA delle operazioni effettuate da associazioni: quali impatti per fondi pensione e fondi sanitari?
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Si ricorda che per l’applicazione IVA è necessario che vi sia un’operazione consistente in una cessione di beni o in una prestazione di servizi (requisito oggettivo), che l’operazione debba essere effettuata nell’esercizio di imprese o di arti e professioni (requisito soggettivo) e che l’operazione debba essere effettuata nel territorio dello Stato italiano (requisito territoriale), tralasciando in questa sede il presupposto delle importazioni da chiunque effettuate (art. 1 DPR 633/1972).
Fino ad oggi non si è dubitato che le attività poste in essere da fondi pensione e fondi sanitari siano del tutto escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA, sulla considerazione che tali fondi non svolgono un’attività di impresa e pertanto, in assenza del requisito soggettivo richiesto per l’assoggettamento ad IVA, non sono neanche soggetti passivi degli obblighi formali previsti dalla normativa IVA (in primis l’attribuzione di una partita IVA). Il vigente quarto comma dell’art. 4 del DPR 633/1972, inoltre, specifica che non si considerano effettuate nell'esercizio di attività commerciali neanche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ad associati o partecipanti, verso pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, effettuati in conformità alle finalità istituzionali da associazioni assistenziali e di categoria (oltreché politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona).
Con la Procedura di infrazione n. 2008/2010, la Commissione europea ha contestato un recepimento non corretto da parte dell’ordinamento italiano delle fattispecie di esenzioni IVA di cui all’articolo 132 della Direttiva 2006/112/CE. In particolare sono state contestate le modalità di recepimento della soggettività passiva nel predetto art. 4 del DPR 633/1972 IVA, avendo totalmente escluso dall’ambito di applicazione dell’IVA operazioni che tutt’al più avrebbero dovuto essere esentate.
Per ovviare a tale Procedura di infrazione, il legislatore nazionale è intervenuto con l’art. 5, comma 15-quater, del DL n. 146/2021 (convertito con la Legge n. 215/2021) modificando gli art. 4 e 10 del DPR 633/1972 e prevedendo, così, che le cessioni di beni e le erogazioni di servizi da parte di determinate tipologie di associazione, a favore dei loro associati ed a fronte dell’aumento della quota associativa o dietro corrispettivo specifico, risultino non più escluse dal campo di applicazione dell’IVA bensì rilevanti ai fini IVA, sebbene in regime di esenzione nel rispetto di predeterminate condizioni dettagliate nel novellato art. 10 del DPR 633/1972.
L’entrata in vigore di queste novità introdotte dal DL 146/2021 è stata posticipata più volte, da ultimo l’art. 3 comma 12-sexies del DL Milleproroghe 215/2023 (convertito dalla Legge 18/2024) ha spostato il termine di entrata in vigore al 1° gennaio 2025.
Salvo ulteriori proroghe, quindi, dal 1° gennaio 2025 le operazioni poste in essere anche da associazioni assistenziali e di categoria, realizzate in conformità alle finalità istituzionali nei confronti di associati ed a fronte di corrispettivi specifici o di contributi supplementari, non rientreranno più tra le operazioni escluse da IVA, ma saranno da considerarsi fatte nell’esercizio di attività commerciali e pertanto soggette alla disciplina IVA, con possibile beneficio del regime di esenzione IVA.
In primo luogo si è ragionevolmente certi che i fondi pensione negoziali siano totalmente estranei dal perimetro di applicazione delle predette nuove norme sull’IVA. Il fondo pensione chiuso, difatti, non rientra nella definizione di associazione assistenziale né formalmente di associazione di categoria, in quanto generalmente trattasi di associazione istituita e partecipata da aziende e lavoratori. Aspetto di maggior rilievo ed assorbente, inoltre, è che in nessun modo i contributi di previdenza complementare possano definirsi come corrispettivi specifici né come contributi supplementari rispetto alle ordinarie quote associative. Una conferma di tale conclusione è stata data anche dall’Agenzia delle entrate che con la Circolare 45/E/2009, sulla connessa tematica di comunicazione dei dati rilevanti ai fini fiscali da parte degli enti associativi per la non imponibilità dei contributi associativi e dei corrispettivi specifici (Modello Eas), ha espressamente escluso da tale adempimento dichiarativo “gli enti destinatari di una specifica disciplina fiscale (ad es.: fondi pensione) che non si avvalgono della disciplina fiscale recata dagli articoli 148 del TUIR e 4 del DPR n. 633 in argomento” (art. 4 del DPR 633/1972 nella sua versione antecedente alle modifiche in commento).
Si è del parere che anche le prestazioni erogate dai fondi sanitari non possano qualificarsi come prestazioni effettuate “a fronte del pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari fissati in conformità dello statuto, in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto”, benché effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni di categoria.
È possibile giungere a tale conclusione tenendo conto delle iniziali e generali indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate con la Circolare 5/E/2022 in base alle quali la rilevanza ai fini IVA delle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di soci e associati “riguarda solo quelle operazioni che abbiano natura commerciale, effettuate a fronte del pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari” mentre le prestazioni dei fondi sanitari non hanno (e mai hanno avuto) natura commerciale.
Da tener presente, inoltre, che le contribuzioni a fondi sanitari non potrebbero legittimamente qualificarsi né come “corrispettivi specifici” a fronte di una prestazione di servizi né come “contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto”. Una mera differenziazione dei livelli di copertura di assistenza sanitaria integrativa, difatti, certamente non è idonea a configurare una fattispecie di specificità di corrispettivi o di contribuzione supplementare definita in base a maggiori o diverse controprestazioni.
In altri termini, la nuova disciplina IVA qui in esame è chiaramente riferibile a quei contratti di scambio (detti anche sinallagmatici o a prestazioni corrispettive) posti in essere tra associazione ed associato, contratti in esecuzione dei quali l’associazione cede un bene o eroga un servizio a fronte del pagamento da parte dell’associato di un corrispondente compenso in denaro, a prescindere dalla qualificazione nominale di “corrispettivo specifico” o di “contributo supplementare” attribuita a tale contropartita in denaro.
Naturalmente si auspica che l’Agenzia delle entrate possa fornire in tempi brevi dei chiarimenti specifici sull’esatto perimetro di applicazione di queste nuove disposizioni normative in tema di IVA.
Nella improbabile (e verosimilmente solo astratta) ipotesi che l’Amministrazione finanziaria dovesse giungere a conclusioni opposte, i fondi sanitari costituiti sottoforma di associazione si troverebbero obbligati ad aprire una partita IVA in occasione dell’entrata in vigore delle modifiche introdotte all’art. 4 del DPR 633/1972. Per beneficiare del regime di esenzione, inoltre, tali associazioni dovrebbero – ove non l’avessero già fatto – adeguare i propri statuti alle clausole indicate dal novellato quinto comma dell’art. 10 del DPR 633/1972 (i.e. obbligo di devolvere il patrimonio in caso di scioglimento, disciplina uniforme del rapporto associativo, obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto, eleggibilità libera degli organi amministrativi, intrasmissibilità della quota o contributo associativo e non rivalutabilità della stessa). Il nuovo regime di esenzione, inoltre, sarebbe applicabile solo nel rispetto della condizione di non provocare distorsioni della concorrenza a danno delle imprese commerciali soggette all'IVA, e si ritiene che tale condizione non debba essere verificata dalla singola associazione ma dalle competenti Autorità statali od europee.
In questa ipotesi, svolgendo comunque attività esenti, sarebbe opportuno presentare una preventiva comunicazione all’Agenzia delle entrate per essere dispensato dagli obblighi di fatturazione e di registrazione relativamente alle stesse operazioni esenti (ai sensi dell'art. 36-bis DPR 633/1972). Il fondo sanitario sarebbe tenuto a rispettare comunque altri adempimenti fiscali come ad es. l’obbligo di registrazione degli acquisti (con l’istituzione o eventuale implementazione del registro degli acquisti) o altri obblighi stabiliti dalla normativa IVA (rilasciare la fattura quando richiesta dal cliente).
Il comma 15-sexies dell’art. 5 del DL n. 146/2021 (convertito con la Legge n. 215/2021) esplicitamente limita l’impatto delle modifiche legislative ai soli fini dell'imposta sul valore aggiunto. Per l’effetto, l’eventuale (ed auspicabilmente solo teorico) differente regime IVA del fondo sanitario (da esclusione ad esenzione) non impatterebbe in alcun modo sulla natura non commerciale dell’associazione (sia ai fini civilistici che delle imposte sui redditi) e, quindi, non comporterebbe un approccio differente rispetto a quanto finora adottato ad esempio in relazione alla mancata iscrizione nel Registro delle imprese.
Flavio De Benedictis
Mefop
Consulente esterno di Mefop. Avvocato. Laureato in Giurisprudenza. È responsabile della consulenza e della formazione in materia fiscale.