Blog Mefop
I fondi pensione fra azione di governo ed iniziative giudiziarie
- Previdenza complementare
- Diritti e prestazioni
- Fondi pensione
SI TORNA A PARLARE DI FONDI PENSIONE
Non si può dire che sui Fondi pensione manchi, di questi tempi, l’attenzione del Governo, né quella dei giudici. Per parte sua, il Governo Letta ha disposto l’introduzione di strumenti giuridici rivolti, insieme con quelli di derivazione comunitaria, a consentire – specialmente ai fondi a prestazione definita – interventi di riequilibrio particolarmente incisivi (spicca fra tutti la possibile riduzione delle prestazioni in corso di erogazione a fronte di situazioni di squilibrio indotte, fra l’altro e prioritariamente, dai rischi biometrici), affidati – sotto il controllo e con poteri addirittura di sostituzione della Covip - alle fonti istitutive negoziali sindacali, cui viene confermata dunque una diretta capacità «rigeneratrice» e dunque il ruolo dominante nel sistema, sebbene al momento risulti ancora difficoltosa l’utilizzazione di questa facoltà. È stata poi la volta del Governo Renzi, del quale già nel precedente editoriale sono state criticamente illustrate le iniziative in termini di Tfr in busta paga e ricordati gli interventi di natura tributaria.
NUOVE REGOLE DI INVESTIMENTO: CAMBIA L’APPROCCIO CULTURALE
L’anno 2014 si è chiuso con la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale 13/11/14) del d.m. 166/2014, che ha rimpiazzato l’oramai da tempo superato d.m. 703/1996. Lascio ad altri l’analisi dei contenuti propriamente finanziari del testo, limitandomi a cogliere taluni passaggi di sistema. Il decreto conferma la legittima permanenza di Fondi pensione interni, quand’anche non patrimonializzati: è la espressa indicazione risultante dall’art. 2, comma 3. Con riferimento, poi, ai Fondi pensione preesistenti, il decreto fa salve le deroghe eventualmente disposte su richiesta dei fondi interessati, con ciò volendosi sottolineare l’importanza dell’intervento salvifico escogitato nell’ambito dell’art. 20 d.lgs. 252/2005, e ad un tempo la residua valenza dei fondi preesistenti, normalmente a prestazione definita, chiamati a confrontarsi con i destabilizzanti rischi biometrici, cui soccorrono le segnalate, ardite tecniche di riduzione delle prestazioni pensionistiche. Il decreto 166 si distingue profondamente dal precedente per la impostazione dinamica e di tipo procedimentale con la quale devono essere affrontate le situazioni di conflitto di interesse, utilizzando variegate formulazioni a seconda della configurazione giuridica del Fondo (volta a volta, esterno con soggettività giuridica – art. 7 – o interno ma con patrimonializzazione – art. 8 –). Domina in ogni caso un approccio di più che opportuna responsabilizzazione degli amministratori, anche attraverso il richiamo all’art. 2391 c.c.: cosicché essi risultano più gravati – sotto il profilo sostanziale – di quanto fossero dal d.m. 703/1996, che riduceva tutto ad una mera quanto impressionante elencazione, negli allegati di bilancio, delle situazioni di conflitto con obbligo di comunicazione analitica e statica alla Covip. Una diversa impostazione che è il segnale di un cambio dell’approccio culturale, derivante dalle ventate di rinnovamento determinate dalla nuova disciplina dei mercati finanziari, e che si contrappone alla vieta cautela che anima il, fortunatamente disatteso, parere del Consiglio di Stato reso proprio sul d.m. 166, (Adunanza Sezione Consultiva per gli Atti Normativi n. 00422/2014 del 04/02/2014), laddove (p. 5) è dato incredibilmente leggere che – con riferimento appunto alla nuova procedura – «appare alquanto ottimistica la previsione che, in sostanza, rimette alla stessa auto disciplina organizzativa del fondo la comunicazione tempestiva a Covip delle circostanze che fanno ritenere inadeguate ad evitare un danno agli aderenti le misure concretamente adottate». Viene così da rammaricarsi che – stante le non poche sanzioni irrogate da Covip per la violazione delle vecchie norme sul conflitto di interesse (ancora purtroppo operanti nelle more – non oltre diciotto mesi – dell’adeguamento dei Fondi pensione al d.m. 166/2014) i meccanismi della illiceità amministrativa in sostituzione di quella penale (l. 689/1981) operino in termini totalmente rigidi (cfr. art. 1, comma 2 legge cit., come da Corte cost. ord. 24 aprile 2002, n. 140 e Cass. 25 giugno 2009, n. 14959), così da impedire che il radicale mutamento della fattispecie, e relativa esclusione di illiceità dell’omissivo comportamento pregresso, consenta di rimuovere gli effetti negativi in termini di impeditività (d.m. 79/2007, art. 4, comma 1, lett. d) indotti, a carico di taluni amministratori, come conseguenza delle sanzioni irrogate per fattispecie oramai superate. Non è peraltro da escludere che rientri nella discrezionalità della Covip, anche sotto forma di apprezzabilmente spontanea iniziativa, un potere non certo di revoca, delle sanzioni pecuniarie, oramai acquisite e per le quali il principio di legalità è insuperabile, quanto piuttosto di azzeramento degli effetti etico/professionali, ove ancora operanti, correlati alla sanzione pecuniaria stessa, rispetto alla quale soltanto – ciò ricavandosi dalla lettura della citata sentenza della Corte costituzionale – opera il principio di legalità.
PENSIONE PUBBLICA: CANTIERE ANCORA APERTO
Si apre in tale contesto l’anno in corso, dominato – quanto al segmento della previdenza, in particolare quella di base – dalla conferma (Corte cost. n. 6/2015) in ordine alla inammissibilità del referendum indistintamente abrogativo dell’intero art. 24 d.l. 201/2011 (e l. conv. 214/2011), del tutto coerentemente alla già altre volte rilevata (sent. n. 2/2014, sul d.lgs. 503/1992) caratterizzazione come legge di bilancio della complessiva manovra pensionistica. Un contesto in cui dovranno collocarsi a breve altre sentenze della medesima Corte, già chiamata a valutare il reiterato blocco, seppur parziale, della perequazione, così come la nuova edizione della contribuzione di solidarietà sulle pensioni d’oro. Una situazione dunque complessa, che evidenzia la necessità di nuovi interventi sul sistema di base, che vanno ben al di là della semplice manutenzione, con prospettive di ulteriore innovazione di entrambi i livelli, e loro possibile intreccio.
RISCATTO E TRASFERIMENTO NEI FONDI PREESISTENTI
Al centro dell’attenzione si pone prepotentemente, sia sul piano giudiziario (che verrà esaminato per primo, in quanto già attuale), sia nel disegno legislativo del Governo in tema di concorrenza, il problema della circolazione dei soggetti partecipanti del sistema pensionistico di secondo livello. Con espresso riferimento alla forme a prestazione definita, la Cassazione con sentenza n. 477/2015 è intervenuta per dirimere, con l’autorevolezza delle Sezioni Unite, la questione concernente l’applicabilità dell’art. 10 del d.lgs. 124/1993, e dell’omologo art. 14, specialmente comma 6, del d.lgs. 252/2005, a dette forme. L’orientamento del Supremo Collegio, volto a ritenerne comunque l’applicazione, si fonda sui seguenti argomenti:
- di ordine formale, in quanto i fondi preesistenti non risultano esclusi letteralmente dalla applicazione della nuova disciplina sulla riscattabilità e sulla portabilità (cfr. art. 18, comma 1, d.lgs. 124/1993), ribadito dall’assenza di ogni riferimento al problema nell’ambito delle norme transitorie;
- di ordine sostanziale, in relazione alla identificabilità comunque di una posizione individuale, determinata in relazione alla durata del periodo di iscrizione dell’interessato e dell’apporto contributivo, assumendosi la irrilevanza ai fini di che trattasi della nozione di «conto individuale», da intendere come attinente alla modalità di gestione del patrimonio del fondo;
- di ordine operativo, affermando il S.C. la determinabilità, se non determinatezza, della posizione con regole e metodi di specializzazione matematica.
Si tratta di una impostazione a dir poco semplicistica, che in fin dei conti finisce per rimettere la questione giuridica alla relativa opinabilità delle variabili assunte come presupposto delle valutazioni attuariali e finanziarie: con il paradosso che una soluzione giuridica, che – per la sede in cui è adottata – dovrebbe assumere rilievo di certezza generale, finirebbe per fondarsi su valutazioni per definizione incerte, non nella metodologia (sia ben chiaro), ma nei presupposti.
Si aggiunga che la apparentemente raffinata distinzione concettuale, che la sentenza propone fra «posizione individuale» e «conto individuale» (par. 41 della sentenza) risulta subito quanto meno inappropriata allorché nel successivo paragrafo (42) la sentenza riferisce il concetto di conto individuale come «attinente alla modalità di gestione del patrimonio del fondo», qui, sì, confondendosi la gestione del patrimonio con la gestione finanziaria (capitalizzazione e ripartizione) e conseguente diverso assetto strutturale, di cui sono evidenza i profili legati alla diversa evidenziazione contabile, in che si sostanzia la predisposizione di conti individuali. Ed ancora, l’utilizzazione (par. 43) della normativa fiscale di cui all’art. 14 quater – comma 2 bis d.lgs. 124/1993, trascura la circostanza che detta norma, nell’usare il termine «conti individuali», ne considera la mera eventualità, cosicché non è corretto trarne una valenza generale.
Questi rilievi inducono a ricordare che la stessa Covip 6 – pur nella piena consapevolezza della importanza della circolazione delle posizioni come strumento di continuità e di libertà di investimento nel sistema di secondo livello – aveva colto in modo diverso (e ragionevolmente più appropriato) la circostanza che le disposizioni dell’art. 10 d.lgs. 124/1993 «non sono dichiarate inapplicabili ma nemmeno rientrano nel gruppo di norme per le quali sono previsti termini di adeguamento» ed aveva dato puntuale rilievo alla connotazione solidaristica dei fondi a prestazioni definite, facendone scaturire un risultato di non automatica applicazione degli istituti in questione. Chi scrive è ben consapevole della prevalenza della funzione giudiziaria su quella amministrativa, ma quando la funzione amministrativa è di vigilanza e di controllo, forse un maggiore rispetto reciproco ed una diversa considerazione dovrebbe presiedere le scelte anche dei giudici.
Insomma, si avverte nella sentenza una categorizzazione assoluta, fondata tuttavia su elementi troppo fragili, e dunque non convincente, probabilmente inidonea a considerarsi come parola risolutiva della questione (vedi Postilla). Se un merito vuole riconoscersi a questa sentenza, resa con riferimento ad una tematica progressivamente residuale (anche i lavoratori autonomi, che pure potrebbero avvalersi di questo regime per il resto sfavorito, si orientano verso la contribuzione definita), è forse quello di accelerarne il processo di esaurimento.
L’ANALISI DEL DDL CONCORRENZA: PRO E CONTRO DELLE PROPOSTE IN CAMPO
In termini ben più generali – seppure ancora astratti, come è proprio della progettazione legislativa – l’azione governativa di riregolazione della concorrenza prorompe nell’ambito della previdenza pensionistica complementare, avendo attenzione specialmente alle forme a contribuzione definita. Pur con tutte le cautele derivanti dalla provvisorietà del testo, ma consapevoli della determinazione dell’attuale governo (si pensi alla rapida, seppur forse inconcludente, approvazione della ricordata disciplina del Tfr in busta paga), vale la pena di svolgere qualche riflessione critica, nel senso positivo del termine, rilevando non poche perplessità in ordine all’impatto che il d.d.l. sulla concorrenza (CdM 21/02/15) determinerebbe anche sui Fondi pensione, proponendosi di innovare il sistema dall’interno ed accentuando le già forti spinte mercatistiche del d.lgs. 252/2005. Sotto l’unico titolo «Portabilità dei Fondi pensione», ed in sintomatica connessione meramente occasionale con il complesso di norme dedicate alla revisione dell’impianto antifraudolento delle regole sulle assicurazioni private 7 , il citato disegno di legge annuncia (art. 15) varie novità meritevoli di attenzione: prima però di entrare nel merito, non è inutile soffermarsi, seppure brevemente, sulla sintomatica sciatteria redazionale [nella lettera a) ci si riferisce a soggetti aderenti ad una o più categorie piuttosto che a soggetti appartenenti; nella lettera d) si prevede la soppressione dei possibili limiti alla mobilità attraverso clausole interdittive del trascinamento dei contributi datoriali, dimenticando – se di questo si tratta: ma sul punto infra – di caducare i corrispondenti limiti di cui all’art. 8, comma 10, per la prima scelta].
Lungi da me l’idea che il legislatore non abbia piena discrezionalità, da esercitare ovviamente nei limiti della coerenza di sistema, della ragionevolezza delle scelte e di rispetto dei principi costituzionali ed europei: questi ultimi, fra l’altro, sono decisamente orientati verso la progressiva implementazione della concorrenza – pur con la debita attenzione ai profili solidaristici intrinseci alle forme negoziali – e verso la circolazione delle posizioni.
PRESTAZIONE ANTICIPATA: UN’UTILE RISPOSTA ALLA CRISI
Modificando l’ordine con il quale l’art. 15 del d.d.l. in questione affronta i temi dei Fondi pensione, si può osservare che (lett. b) l’ampliamento da cinque a dieci anni della possibile anticipazione rispetto all’età di accesso alla pensione quale presupposto del riscatto per inoccupazione, che viene altresì riferito non più a oltre 48 mesi, ma a soli 24 mesi costituisce una utile risposta alla esigenza di adeguamento del sistema prestazionale di secondo livello a fronte del progressivo elevamento dell’età pensionabile, potenziando così nel secondo livello la componente previdenziale di sostegno al reddito. Ad una generica finalità di alleggerimento del carico fiscale, prescindendo dalla modalità (collettiva o individuale) di partecipazione risponde la lettera c). Entrambi i divisati provvedimenti risulterebbero, dunque, in linea di continuità con il sistema in essere. Non altrettanto si può dire per le altre due novità in gestazione.
MAGGIORE MOBILITA’ ALL’INTERNO DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
La lettera d) ipotizza la soppressione dell’inciso (ora presente nell’ultimo periodo dell’art. 14, comma 6): «nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali». Così, in tema di mobilità si raddrizzerebbero talune deviazioni formali della normativa delegata, costituenti oggi ostacolo proprio alla piena facoltà di migrazione, cui invece mirava la delega originaria: pareri autorevoli furono rilasciati contro tali limitazioni (Antonio Baldassarre e Pietro Ichino) a fronte di una estenuante negoziazione Governo-sindacati dell’estate/autunno 2005, che – ritardando oltre i limiti l’emanazione del decreto, rimediato alla meno peggio nel dicembre successivo – portarono all’attuale formulazione, fondata sull’idea che la componente solidaristica, di certo presente nei fondi negoziali seppure a contribuzione definita, attenuasse o addirittura escludesse il vulnus alla piena concorrenzialità con i fondi del mercato finanziario ed assicurativo 11 , assumendosi dunque non già una violazione della delega, ma l’impossibilità di attuazione di una delega che, così come concepita, sarebbe stata esposta essa stessa ad un intrinseco vizio di incostituzionalità. Questa seconda tesi, così come valse a correggere il senso della delega del 2004, costituirebbe ostacolo al disegno legislativo in corso, che sbilancerebbe il sistema di secondo Welfare pensionistico nella direzione meramente finanziaria.
APRIRE I FONDI NEGOZIALI: UNA SCELTA INCOERENTE
Una vera e propria scelta di rottura si consumerebbe invece con la lettera a), che con forte ambiguità si maschera sotto un titolo deviante. Non è certo casuale la tecnica novellatrice, con l’inserzione di un comma del tutto nuovo nell’ambito dell’articolo destinato alla elencazione delle fonti istitutive: un nuovo comma 3 bis. La tentazione di aprire i fondi negoziali – si badi: sia quelli di nuova istituzione, sia quelli preesistenti, purché dotati di soggettività giuridica ed a regime di contribuzione definita – al di fuori dell’ambito fisiologico in ragione della loro origine contrattuale collettiva era stata già caldeggiata in sede Covip, ma l’ipotesi era stata respinta, in considerazione della evidente incongruenza rispetto all’impianto dato. Orbene, anche apprezzando l’obiettivo forse inconsapevole di contrastare la poco controllata – dal punto di vista dimensionale – e conseguentemente frammentata espansione delle forme pensionistiche, e relativi fondi, vecchi e nuovi, si sa che il legislatore facit de albo nigrum. Ma, si ripete, occorre che le sue scelte siano coerenti: assumendosi, in omaggio al valore della concorrenza – di non facile combinazione con i profili solidaristici (cfr. ancora sentenza Albany) –, la facoltà di dilatazione del Fondo pensione negoziale oltre i suoi naturali confini costituiti dall’ambito di efficacia dei contratti collettivi, dovrà darsi soluzione a tutta una serie di effetti a cascata: nel sistema, il fondo negoziale che dovesse decidere di avvalersi di questa opzione legislativa, per allargare la sua azione oltre detti confini, assumerà la configurazione di fondo simil-aperto, e dunque – non bastando più il criterio di compatibilità della raccolta – dovrà stare alle diverse regole di accesso al mercato, a cominciare da quelle che presiedono la raccolta delle adesioni e la formazione di una rete acquisitiva, così da tutelare il singolo di fronte alla sollecitazione del risparmio. Vero è che il d.lgs. 252/2005 si è distinto, sotto questo aspetto, per una tendenziale amalgamazione dei comportamenti in questa fase – di ciò è conferma la unitaria regolamentazione della materia del 29 maggio 2008 – , ma elementi distintivi importanti sono ancora ben presenti proprio in questo regolamento Covip (art. 8 per i fondi negoziali ed art. 9 per i fondi aperti). Sarà eventualmente compito della Covip rendere ancora più omogenee le disposizioni, ma certo sarà difficile immaginare la costituzione di una rete di collocatori professionali, ma di estrazione sindacale, se veramente si vuole dare respiro alla programmata norma, e non se ne voglia fare solo una bandiera. Più delicato e complesso, probabilmente al di fuori della competenza di Covip, potrà risultare l’assetto di governance di questa nuova tipologia di fondi «negoziali simil-aperti»: occorrerebbe infatti cambiare l’impianto della bilateralità e pariteticità circoscritta alla categoria, in caso di un numero significativo di adesioni individuali extra categoria; così come, in caso di adesioni collettive, questo nuovo tipo di fondo dovrebbe accogliere la formula degli organismi di sorveglianza (attuale art. 5, comma 4). È scontato, dunque, l’invito alla seria riflessione sui problemi che potrebbero nascere dalla proposta, e sulla loro risolubilità, solo privilegiando il mito dell’ampliamento del mercato finanziario ed assicurativo, del tutto ignorando l’impegno assunto, coerentemente con l’art. 38 Cost. con la riforma del 1995, attraverso la formula dei primi due articoli della l. 335/1995 12 , che invito a rileggere.
POSTILLA
Le riflessioni che precedono, in particolare quelle riferite nel paragrafo n. 4, erano appena state elaborate e sistemate, quando si è appreso del deposito esattamente lo stesso giorno (9 marzo) della sentenza della Cassazione, a SS.UU. n. 4684/2015, in cui è dato leggere (par. 28) con riferimento alla questione della incidenza della contribuzione di secondo livello sul Tfr nel periodo pre d.lgs. 124/1993, quanto segue: «La mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa, e quindi, in buona sostanza, la sostanziale autonomia fra rapporto di lavoro e previdenza complementare, trovano una conferma decisiva nel rilievo che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa – il che può verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto – il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro. Inoltre l’obbligazione che il datore di lavoro assume con il sistema di previdenza integrativa nei confronti del Fondo non è monetizzabile a favore del lavoratore, come accade invece per alcuni benefit, come ad esempio il servizio mensa o il servizio trasporto che il datore di lavoro può scegliere di organizzare direttamente o garantire con il rimborso del relativo costo a mani del dipendente». Dunque, come già sopra ipotizzato (par. 4), non è affatto scontato che l’orientamento sulla «portabilità comunque» (sentenza n. 477/15) si consolidi: è anzi già smentito dalla sentenza n. 4684/15. Sia consentito dire, senza per il momento ulteriore commento, che, in giurisprudenza come in legislazione, spesso una mano non sa quello che fa l’altra.
Pasquale Sandulli
Pasquale Sandulli è attualmente Professore di Diritto del Lavoro nell’Univ. Europea di Roma, Previdenza complementare e Giustizia costituzionale del lavoro nella Luiss-Roma.
Tra i numerosi incarichi istituzionali, ha rivestito la carica di Esperto presso il Ministero del lavoro; componente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale e membro del collegio di conciliazione ed arbitrato dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica
É collaboratore scientifico di Mefop dal 2005 e attualmente fa parte del comitato direttivo della "Riv. Dir. Sic. Sociale”.