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Perequazione delle pensioni e legittimità costituzionale
- Previdenza di base
- Fondi pensione
Nel comunicato reso al termine della Camera di Consiglio del 25 ottobre, si legge che la Corte costituzionale ha “respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni, che ha inteso ‘dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015′. La Corte ha ritenuto che – diversamente dalle disposizioni del “Salva Italia” annullate nel 2015 con tale sentenza – la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”. Da tali scarne indicazioni è dato ricavare come in questa occasione abbia fatto reingresso nella valutazione di legittimità l’art. 81 Cost. , presente solo parenteticamente nel terzultimo capoverso della articolata motivazione della sentenza n. 70/15.
In attesa di conoscere le motivazioni della nuova sentenza sulla perequazione, essenziali per una seria analisi della sentenza, anche in vista della individuazione di auspicabili, ulteriori linee di indirizzo della politica legislativa previdenziale (quali, ad esempio, emergenti a tutto tondo nella sentenza n. 173/16), è possibile azzardare qualche prima ipotesi a margine della vicenda, sicuramente complessa e defatigante: ne è conferma il rinvio della decisione dal 24 (giorno dell’udienza) al 25, ma soprattutto il tenore del comunicato, che definisce la legittimità del contestato bilanciamento, ma attraverso la tecnica lessicale della doppia negazione (“non irragionevole”).
È certo che l’art. 1 del d.l. 65/15 è stato dettato in via prioritaria dalle esigenze di contenimento della spesa previdenziale, pur in assenza di un espresso riferimento all’art. 17, c. 13, l. 31/12/09, n. 196[1].
Il punto è che, al di là del contenimento di spesa conseguito dal d.l. 65 ed ora confermato dalla Corte - seppure nella logica della temporaneità[2] -, una ulteriore ed altrettanto seria esigenza di contemperamento di valori si pone in termini di equità generazionale, così come emerge dalla elencazione degli obiettivi di cui al preambolo dell’art. 1, d. l. 65/15, disposto “anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale”, a fronte del quale il mostro sacro del collegamento fra art. 36 ed art. 38 Cost. dovrebbe finalmente dissolversi.
Nella misura in cui la (relativa) generosità del sistema retributivo a prestazione definita, in sede di attribuzione del trattamento, viene contenuta nel suo successivo dinamismo perequativo, si delinea (pur timidamente, ma ballano, secondo le stime, 30 miliardi di euro) un tentativo di riassetto pensionistico che, nel quadro della crisi economica, finanziaria e lavorativa, risulta un poco meno squilibrata nel rapporto fra le generazioni pre e post legge Dini (l. n. 335/95). Ciò, si sottolinea, sulla scia di quel “circuito previdenziale” di cui alla già ricordata sentenza n. 173/16, che è uno dei segnali recenti più forti della Corte costituzionale in materia.
Tutto ciò, non certo in una prospettiva pauperistica o, come da qualche parte si teorizza, di decrescita felice, posto che l’auspicio è invece quello di una seria ed equilibrata ripresa economica, che consenta di destinare risorse al secondo livello, che in passato è stato anche esso, limitatamente a taluni particolari settori, caratterizzato dalle medesime sperequazioni. Non casualmente il d.l. 65, attraverso il rinvio all’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, oltre che mediante l’espressione “trattamenti complessivi”, coinvolge, nel bene e nel male, anche il risalente regime di pensioni integrative a prestazione definita, secondo l‘insegnamento sempre della Corte costituzionale (sentenza n. 393/2000). Esso, infatti, risulta in piena sintonia con quella idea di ordine pubblico economico, che giustificò a suo tempo il blocco della scala mobile nell’ambito dei rapporti di lavoro privati (Corte cost. nn. 124/1991 e 34/1985), affermando la legittimità delle norme di legge sul superamento del meccanismo contrattuale collettivo di adeguamento della retribuzione, risolvendo oltre tutto un (all’epoca) delicatissimo problema di rapporti fra legge e contrattazione collettiva: di certo, ben più rilevante di quanto sia oggi quello della perequazione pensionistica, che della scala mobile salariale era un derivato.
Sono, queste, riflessioni a caldo, nell’alternanza di una minestra troppe volte raffreddata e riscaldata.
[1] Ma vale la pena di evidenziare che la Corte nella sentenza n. 173/16, più nota per la conferma del secondo prelievo sulle “pensioni d’oro” , già si era pronunciata – cfr. ivi l’articolato punto 6 in diritto - favorevolmente alla legittimità costituzionale del rinnovato, ed ora vigente, meccanismo di perequazione ex art. 1, c. 483, l. n. 147/13.
[2] Nell’ambito del titolo V della legge (di bilancio e contabilità pubblica in generale) dedicato alla “copertura finanziaria delle leggi” - una sorta di anticipazione del nuovo art. 81 Cost. - il comma 13 così dispone: “Il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché' riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto ((dell'articolo 81 della Costituzione)). La medesima procedura è applicata in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri, fermo restando quanto disposto in materia di personale dall'articolo 61 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Pasquale Sandulli
Pasquale Sandulli è attualmente Professore di Diritto del Lavoro nell’Univ. Europea di Roma, Previdenza complementare e Giustizia costituzionale del lavoro nella Luiss-Roma.
Tra i numerosi incarichi istituzionali, ha rivestito la carica di Esperto presso il Ministero del lavoro; componente del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale e membro del collegio di conciliazione ed arbitrato dell'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica
É collaboratore scientifico di Mefop dal 2005 e attualmente fa parte del comitato direttivo della "Riv. Dir. Sic. Sociale”.