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Contributi previdenziali: la prescrizione è quinquennale anche su cartella
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L’art. 3, comma 9 della legge n. 335/1995 fissa in cinque anni la prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori. Il termine può estendersi a dieci anni nel caso di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, purché questa intervenga prima del decorso del quinquennio. La disposizione stabilisce che i contributi previdenziali prescritti non possono più essere versati neanche volontariamente contrariamente a quanto previsto, invece, in via ordinaria, dall’art.2940 del Codice civile per il credito prescritto.
Secondo la giurisprudenza, una volta esaurito il termine, la prescrizione ha efficacia estintiva - e non semplicemente preclusiva - poiché l'Ente previdenziale creditore non può rinunziarvi; essa, quindi, opera di diritto e deve perciò essere rilevata d'ufficio dal giudice, mentre il pagamento dopo la prescrizione costituisce pagamento d'indebito e dà diritto alla restituzione. Il fondamento di questa preclusione viene individuato in un'esigenza di equilibrio finanziario degli enti previdenziali, che impedisce agli assicurati - specie in riferimento ai lavoratori autonomi - di costituirsi benefici attraverso una contribuzione concentrata nel tempo e ritardata.
L’art. 66 della l. 247/2012 - Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense - ha stabilito che la normativa in materia di prescrizione dei contributi di cui all'art. 3 l. 335/1995, non si applichi alla previdenza forense. La disposizione consente di applicare il previgente art. 19 l. 576/1980 – riforma del sistema previdenziale forense - che stabilisce il termine di prescrizione decennale. Senza volere approfondire le problematiche sollevate da tale diposizione si può segnalare che la Cassazione l’ha ritenuta applicabile solo dalla data della sua entrata in vigore, ritenendo che non abbia valore interpretativo (Cassazione 6729/2013).
L’art. 24, c. 5, del d.lgs. 46/1999 prevede, in materia di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali, che contro la cartella di pagamento possa essere presentato ricorso in opposizione al giudice del lavoro entro il termine di quaranta giorni dalla notifica. Il termine è ritenuto perentorio dalla giurisprudenza in quanto diretto a rendere incontrovertibile il credito contributivo dell'Ente e a consentirne una rapida riscossione (Cassazione 18145/2012).
In materia di prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori si è formato un orientamento giurisprudenziale (Cassazione nn. 4338/2014, 11749/2015 e 5060/2016) secondo il quale nel caso in cui il contributo previdenziale sia stato posto in riscossione tramite cartella di pagamento non opposta tempestivamente, ciò comporterebbe l’applicazione del termine di prescrizione ordinario decennale. Divenuta intangibile la pretesa contributiva per effetto della mancata proposizione del ricorso, si verificherebbe, in pratica, una sorta di “effetto novativo” rendendo il diritto alla contribuzione previdenziale non più soggetto ad estinzione per prescrizione. Ciò che potrebbe prescriversi sarebbe unicamente l'azione diretta all'esecuzione del titolo così definitivamente formatosi.
Riguardo al titolo – la cartella non opposta - in mancanza di diverse disposizioni troverebbe applicazione, in via analogica l'art. 2953 c.c. e dunque il termine prescrizionale decennale ordinario di cui all'art. 2946 c.c.
L’orientamento esplicitato nella sentenza della Cassazione n. 4338/2014 prende le mosse da una pronuncia della medesima Corte (n. 17051/2004) in materia di iscrizione a ruolo per Iva e trova conferma, sia pure a livello di affermazione incidentale, nella successiva pronuncia della Cassazione n. 11749/2015. Da ultimo, la sentenza della Corte di Cassazione n. 5060/2016 ribadisce il medesimo principio.
Con ordinanza della Sesta sezione civile n.1799/2016 è stato sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite al fine di sanare il contrasto insorto in merito alla interpretazione da dare all’art. 2953 c.c.. In sostanza si trattava di stabilire se la disposizione del Codice civile fosse applicabile anche nel caso in cui la definitività dell’accertamento del credito derivava da atti diversi rispetto ad una sentenza passata in giudicato.
In effetti l’orientamento maggioritario - e più risalente nel tempo - escludeva la conversione della prescrizione da breve a decennale in presenza di atti o provvedimenti di riscossione divenuti definitivi.
Secondo la giurisprudenza, sia in materia di tributi che di contributi previdenziali, la presenza di “titoli esecutivi paragiudiziali” (ordinanza – ingiunzione di pagamento, atto di accertamento, cartella di pagamento) incontrovertibili per mancata opposizione non implica l’applicazione dell’art. 2953 c.c. ritenuto di stretta interpretazione (Cassazione nn. 11426/2004, 4506/2007, 14692/2007, 17978/2008 e 13262/2010).
Orbene la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 23397/2016, nella sostanza, ha disatteso l’orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto applicabile l’art. 2953 c.c. in caso di cartella di pagamento non opposta nei termini.
La Corte ha richiamato la giurisprudenza maggioritaria che si è formata sull’art. 2953 c.c. in base alla quale la conversione della prescrizione da breve a decennale può avvenire solo per effetto di sentenza passata in giudicato, oppure di decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato, formale e sostanziale o anche di decreto o di sentenza penale di condanna divenuti definitivi. Si esclude che tale effetto si possa realizzare in presenza di atti di natura diversa (cartella di pagamento, avviso di addebito, ordinanza – ingiunzione di pagamento), rispetto ai quali si può realizzare l’irretrattabilità della pretesa creditoria ma non conseguenze di ordine processuale.
Molto importante è una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n.25790/2009, richiamata nella più recente sentenza n. 23397/2016, nella quale, sia pure in materia tributaria, si pone la distinzione tra prescrizione decennale in presenza di sentenza passata in giudicato e prescrizione quinquennale nel caso in cui la definitività della pretesa derivi da un provvedimento privo di natura giurisdizionale e, in quanto tale, privo di attitudine ad assumere l’efficacia del giudicato con la conseguente inapplicabilità dell'art. 2953 c. c. ai fini della prescrizione.
La Corte di cassazione a SSUU ha sostenuto, tra l’altro, che la giurisprudenza di legittimità ha da sempre sottolineato che la disciplina della prescrizione è di stretta osservanza ed è insuscettibile d'interpretazione analogica, dunque, se in base all'art. 2946 c.c. la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che la legge disponga diversamente, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge speciale che dispone diversamente (art. 3, c. 9, l. 335/1995) prevedendo la prescrizione quinquennale. Inoltre la norma dell'art. 2953 c.c. non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti, dunque, oltre i titoli giudiziali definitivi.
Nella sua pronuncia la Corte esclude poi la possibilità di richiamare l’art. 20, c. 6, d.lgs. 112/1999 per estendere la prescrizione da cinque a dieci anni; nella norma si stabilisce che l'Ente creditore, qualora individui, successivamente al discarico per inesigibilità, l'esistenza di significativi elementi reddituali o patrimoniali riferibili agli stessi debitori, può, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, sulla base di valutazioni di economicità e delle esigenze operative, riaffidare in riscossione le somme, comunicando all'agente della riscossione i nuovi beni da sottoporre a esecuzione, ovvero le azioni cautelari o esecutive da intraprendere. Secondo la Corte l’art. 20, va letto all'interno del d.lgs. 112/1999, che è il decreto attuativo della Legge di delega n. 337 del 1998 dedicato ai rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione, che contiene un complessivo riordino della disciplina della riscossione mediante ruoli, basato su una profonda revisione dei rapporti tra ente impositore e agente della riscossione. Peraltro, dalla complessiva lettura del d.lgs.112/1999 ,e dai minimi riferimenti in esso contenuti alla riscossione dei contributi effettuata dagli Enti previdenziali, si trae conferma del fatto che si tratta di un decreto principalmente rivolto alla riscossione dei tributi escludendosi, quindi, l’estensione ai contributi previdenziali.
L’orientamento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite si è sostanzialmente consolidato tanto è vero che tutte le più recenti pronunce intervenute sul tema si sono adeguate ai principi in esso espressi (si rimanda in proposito a Corte di cassazione nn. 29830/2019, 29831/2019, 24106/2019, 32077/2019).
Paolo Giuliani
Dirigente del servizio contributi e prestazioni dell’Ente di previdenza dei Farmacisti, lavora nell'ambito della previdenza privata obbligatoria da oltre venti anni. Pubblica sulle riviste edite da Mefop analisi giurisprudenziali e normative su argomenti di previdenza obbligatoria pubblica e privata. Ha collaborato per un triennio con l'Università delle Marche, presso la Facoltà di economia e commercio, nell'ambito dell'insegnamento del Diritto del lavoro. È un educatore finanziario iscritto all’Associazione Italiana degli Educatori Finanziari ed ha svolto il ruolo di docente in diversi corsi di formazione anche sul sistema degli Enti di previdenza privati. È stato docente accreditato per i corsi ECM dei farmacisti con riferimento alla regolamentazione della previdenza di categoria.