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Nuovi chiarimenti sul trattamento fiscale dei contributi versati al fondo sanitario
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Il 6 ottobre 2020 è stata pubblicata sul sito dell’Agenzia delle entrate la Risposta ad interpello n. 443 con rilevanti chiarimenti sul trattamento fiscale dei contributi di assistenza sanitaria versati a Casse aventi esclusivamente fine assistenziale.
Con questa Risposta ad interpello l'Amministrazione finanziaria ha precisato che, in caso di prestazioni assistenziali sanitarie offerte mediante copertura assicurativa, la Cassa Sanitaria deve risultare sia contraente che beneficiaria della polizza assicurativa affinché la parte di contributo destinato al versamento del premio non concorra alla base imponibile del dipendente.
Nel caso in cui, invece, i beneficiari della polizza risultassero i lavoratori associati alla Cassa, i contributi versati alla stessa Cassa Sanitaria sarebbero volti a garantire un beneficio aggiuntivo della retribuzione dei lavoratori dipendenti (costituito dalla titolarità dell'interesse economico che viene protetto dalla polizza stessa) e come tali soggetti a tassazione.
L’imposizione fiscale potrebbe essere evitata solo applicando il terzo comma dell’art. 51 del Tuir sulla esenzione dell'emolumento in natura (copertura assicurativa attivata con l’importo dei contributi versati alla Cassa) se complessivamente non risulta superato l'importo di euro 258,23 (soglia di esenzione raddoppiata a euro 516,46 solo per il periodo d'imposta 2020 in virtù dell’art. 112 del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104).
Tale tesi interpretativa rappresenta un consolidamento di quanto già precisato dalle Entrate con la Risoluzione 391/E/2007 circa l’imponibilità di contributi versati da un datore di lavoro per una copertura assicurativa, orientamento confermato anche da un’altra recente Risposta ad interpello n. 383 del 18 settembre 2020.
Per le coperture del rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti di vita quotidiana (LTC) o di gravi patologie (dread disease) va tenuto presente tuttavia che la lett. f-quater) del secondo comma dell’art. 51 del Tuir consente di escludere dalla formazione del reddito di lavoro i contributi e premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti senza soglie quantitative e anche nelle ipotesi in cui tali contributi siano versati ad enti o casse.
Se le coperture long term care e dread disease sono offerte a fronte dei contributi versati a casse iscritte all’Anagrafe dei fondi sanitari, affinché non operi il limite di euro 3.615,20 applicabile ai contributi di assistenza sanitaria è necessario che tali Casse assistenziali contabilizzino separatamente i contributi ricevuti dal datore di lavoro per tali prestazioni LTC e dread disease (cfr. par. 3.1 Circolare 5/E del 29 marzo 2018).
Con la Risposta ad interpello n. 443 del 6 ottobre 2020 l'Agenzia delle entrate riprende, inoltre, il passaggio sul rispetto del principio di mutualità affermato al par. 4.10 della Circolare 5/E del 29 marzo 2018: i contributi di assistenza sanitaria versati alla Cassa avente esclusivamente fine assistenziale possono beneficiare del regime di esenzione fiscale sempreché sia rispettato il principio mutualistico. Diversamente, il lavoratore non può beneficiare del beneficio della non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente dei contributi di assistenza sanitaria ai sensi della lett. a) del secondo comma dell’art. 51 del Tuir ogni qual volta per ciascun iscritto alla Cassa sussista una stretta correlazione fra quanto percepito dalla Cassa a titolo di contribuzione e il valore della prestazione resa nei confronti del lavoratore (o dei suoi familiari o conviventi) al punto che la prestazione sanitaria ove erogata (sia sotto forma di prestazione diretta che di rimborso della spesa) non possa comunque mai eccedere l’importo di contributo versato dal dipendente o dal datore di lavoro.
Sempre con la Risposta ad interpello n. 443, l'Amministrazione finanziaria ha precisato di ritenere non corretto escludere dalla base imponibile del reddito di lavoro dipendente l’importo versato a titolo di quota associativa a carico di ciascun lavoratore: ad avviso delle Entrate tale quota non sarebbe direttamente inerente agli obiettivi perseguiti dalla Cassa Sanitaria di assicurare ai lavoratori un maggior livello di copertura sanitaria. In altri termini, l'iscrizione alla Cassa, per quanto necessaria ai fini del godimento delle relative prestazioni sanitarie, la predetta quota associativa non sarebbe direttamente finalizzata al finanziamento delle prestazioni erogabili dalla Cassa.
Per la quota di iscrizione alla Cassa Sanitaria a carico del datore di lavoro quantificata forfetariamente in ragione del numero dei lavoratori aderenti, invece, non potendo ravvisarsi un collegamento diretto tra il versamento del datore di lavoro e la posizione di ogni singolo iscritto alla Cassa, non è possibile riconoscere in tale contribuzione una componente reddituale nei confronti del lavoratore. Queste tesi interpretative rinvierebbero a quanto precisato nella Risoluzione 96/E/2005 benché in tale documento di prassi si esaminava la differente fattispecie di quote associative a una organizzazione sindacale non qualificabili come contributo di previdenza complementare benché versate unitamente agli importi corrisposti a un fondo pensione.
Alla luce degli importanti chiarimenti contenuti nella Risposta ad interpello n. 443 del 6 ottobre 2020, la Casse sanitarie dovrebbero valutare l’opportunità di prevedere che le convenzioni assicurative individuino la stessa Cassa sanitaria come beneficiaria della copertura assicurativa, delegando eventualmente l’impresa di assicurazione ad effettuare il pagamento direttamente all’associato o suo famigliare o convivente. Andrebbe evitato inoltre che le quote associative individuali rappresentino una voce distinta dalla contribuzione di assistenza sanitaria.
Flavio De Benedictis
Mefop
Consulente esterno di Mefop. Avvocato. Laureato in Giurisprudenza. È responsabile della consulenza e della formazione in materia fiscale.