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Nuovi chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in tema di piani di welfare
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Con la Risoluzione n. 55/E del 25 settembre 2020, l’Amministrazione finanziaria è tornata a fornire chiarimenti in tema di trattamento fiscale applicabile ai cd. piani di welfare.
Il provvedimento prende le mosse da un interpello con il quale una società, avendo predisposto un piano di welfare per i propri dipendenti, chiedeva all’Amministrazione finanziaria:
(i) se allo stesso (o meglio, ai benefit compresi nello stesso) potesse essere applicato il regime di esclusione da imposizione sul reddito di lavoro dipendente previsto dall’articolo 51, comma 2, lettere f) e f-bis), del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir);
(ii) nonché se fosse interamente deducibile ai fini Ires, ai sensi del primo comma dell’articolo 95 del predetto Tuir (e non solo nei limiti del 5 per mille ai sensi dell’art. 100 del Tuir), il costo sostenuto dall’azienda per l’anno d’imposta 2019.
Il piano in commento, attivato attraverso dei regolamenti aziendali non revocabili autonomamente dal datore di lavoro, riconosce ai dipendenti interessati – al raggiungimento di un obiettivo minimo di fatturato per l’annualità precedente – un credito welfare da utilizzare attraverso una specifica piattaforma web che consente ai destinatari la fruizione di utilità specificatamente individuate. L’importo del credito welfare riconosciuto ai dipendenti è graduato per livello di inquadramento e anzianità di servizio, e riparametrato in caso di fatturato inferiore all’obiettivo prestabilito.
I regolamenti istitutivi del piano fissano inoltre l’arco temporale utile per l’utilizzo del credito welfare, prevedendo che quanto non utilizzato nella finestra appositamente individuata, sarà versato alla posizione individuale di previdenza complementare del dipendente (qualora esista) o azzerato.
L’Amministrazione finanziaria, con riferimento al primo quesito, chiarisce che in linea di principio non può trovare applicazione il regime di totale o parziale esenzione di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 51 del Tuir qualora i benefit rispondano a finalità retributive (ad esempio ripartizione dei benefit effettuata in base alle presenze/assenze dei lavoratori in azienda oppure erogazione dei benefit in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile dei lavoratori).
Gli emolumenti in denaro, ma anche i valori corrispondenti ai beni e/o ai servizi percepiti dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro costituiscono in linea generale redditi imponibili e concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, ciò in ragione del c.d. principio di onnicomprensività espresso al comma 1 dell’articolo 51 del Tuir.
Tuttavia, com’è noto, il medesimo articolo 51 individua, al comma 2 e all’ultimo periodo del comma 3, uno specifico regime derogatorio al principio di onnicomprensività, elencando le opere, i servizi, le prestazioni e i rimborsi spesa che non concorrono a formare la base imponibile o vi concorrono solo in parte, sempreché l’erogazione in natura non si traduca in un aggiramento degli ordinari criteri di determinazione del reddito di lavoro dipendente.
Il suddetto regime derogatorio di totale o parziale esenzione può però essere applicato, ad esempio, nell’ipotesi in cui tali beni e servizi siano erogati a titolo premiale (per gratificare i lavoratori del raggiungimento di un obiettivo aziendale) purché la ripartizione del benefit non trovi giustificazione nella valutazione dell’attività lavorativa del dipendente, sia singolarmente considerato che in gruppo, ovvero su valutazioni strettamente connesse alla prestazione lavorativa.
In altri termini, la non concorrenza al reddito di lavoro dipendente deve essere sempre coordinata col principio di onnicomprensività che, riconducendo nell’alveo di tale categoria reddituale tutto ciò che il dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, riconosce l’applicazione residuale delle deroghe, in ragione anche della circostanza che i benefit ivi previsti non sempre assumono una connotazione strettamente reddituale.
Con riferimento all’utilizzo del credito welfare come contribuzione aggiuntiva alla previdenza complementare, l’Agenzia delle Entrate precisa che anche qualora lo stesso sia versato in favore delle posizioni previdenziali dei familiari fiscalmente a carico può essere qualificato quale onere deducibile che non concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dalla lett. e-bis) dell’art. 10 del Tuir.
Sullo stesso tema, l’Amministrazione coglie l’occasione per specificare che, considerato che il versamento del contributo welfare al fondo di previdenza complementare è effettuato direttamente dal datore di lavoro nonché riportato nella Certificazione Unica rilasciata al dipendente, quest’ultimo non è tenuto ad alcuna comunicazione alla forma di previdenziale complementare in relazione al credito welfare destinato a tale finalità. Tale chiarimento dovrebbe valere a fortiori con riferimento alla contribuzione aggiuntiva al fondo pensione derivante da conversione del premio di risultato ex articolo 1, commi 182 e ss., della legge n. 208 del 2015.
Se infatti la contribuzione versata da un semplice piano welfare non necessita di essere identificata dal fondo pensione, poiché trattata come una contribuzione ordinaria, la contribuzione derivante da conversione di premio di risultato – anch’essa versata dal datore di lavoro e riportata in Certificazione Unica – deve invece essere correttamente individuata beneficiando la stessa di un particolare regime di esenzione anche in fase di prestazione.
Alla luce di ciò, possiamo ritenere superata l’indicazione data dalla Circolare 5/E del 29 marzo 2018 in merito all’onere di comunicazione dei contributi derivanti da premio riconosciuto in capo all’iscritto al fondo.
Da ultimo, l’Agenzia conferma che i costi sostenuti dalla società per l’attuazione di un piano welfare sono interamente deducibili ai fini Ires ai sensi dell’art. 95 del Tuir (e non nel solo limite del 5 per mille secondo quanto previsto dall’art. 100 del Tuir) laddove le utilità ricomprese nel piano e offerte ai dipendenti vengano riconosciute in ragione di contratto, accordo o regolamento aziendale che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale (purché il regolamento non sia revocabile né modificabile autonomamente da parte del datore di lavoro).
Chiara Costantino
Mefop
In Mefop dal 2013. Laureata con lode in Giurisprudenza. Si occupa di consulenza legale e formazione, collabora alla redazione delle pubblicazioni giuridiche. Segue il coordinamento editoriale della rivista Prospettive. Cura inoltre gli aspetti normativi dei fondi sanitari, del welfare aziendale e dei premi di risultato.